“Future. Il domani narrato dalle voci di oggi” a cura di Igiaba Scego, Effequ.

Isabella Peretti dell’Associazione Lesconfinate in dialogo con Silvia Costantino direttrice editoriale e responsabile comunicazione di effequ libri che non c’erano a Feminism il 13 alle 18 per presentare Future. Il domani narrato dalle voci di oggi a cura di Igiaba Scego.

I.P. com’è nato il libro Future?

S.C. Ogni due anni effequ pubblica, per la collana di narrativa, un’antologia di racconti, individuando un tema che è o si rivelerà importante per quel momento storico. La questione della cittadinanza italiana e della decolonizzazione del corpo e del pensiero ci sembrava – e tuttora ci sembra – quantomai pressante. Abbiamo così contattato Igiaba Scego per chiederle di curare l’antologia, e lei ha dimostrato subito di credere al progetto e di condividere le nostre istanze. Con grandissima generosità si è dunque mossa per aiutarci a trovare le voci migliori, più taglienti e acute, più adatte insomma a raccontare in una chiave non (solo) negativa questa strana Italia che viviamo. Perché il libro è sì un J’accuse, come dice Igiaba nella prefazione, ma è anche un importante momento di apertura, dialogo e confronto. Le future non si lamentano di una situazione, né protestano: manifestando con forza la loro presenza, mostrando il loro vissuto, raccontando le proprie storie o quelle altrui, vere o inventate, mostrano che il cambiamento è già in atto e che semmai è l’istituzione a essere indietro.

I.P. Tezeta Abraham e la sua amica Wii Houbabi il 23 marzo su facebook commentavano con una
grande risata la notizia che Enrico Letta aveva riproposto lo ius soli. Esprimevano con una risata
bella ma amara un sentimento comune delle nuove generazioni dopo anni di illusioni cadute, tradimenti da parte di una sinistra di governo (PD) che non ha mai rinunciato alle proprie
supposte convenienze politiche ed elettorali per impegnarsi davvero sulla legge sulla
cittadinanza. Che ne pensi? ci si può ancora credere? Ne hanno scritto recentemente Lucia
Ghebreghiorges e Djarah Kan, due autrici di Future

S.C. Purtroppo condivido la risata di Wii e Tezeta, così come l’amarissima riflessione di Djarah e quella e feroce di Lucia. Non mi capacito di come un diritto che non dovrebbe nemmeno essere in
discussione (non me la sento di parlare di ‘concessione’ perché è una parola paternalista, e in questo caso davvero mostra bene i rapporti di potere in gioco) ancora non sia valido e attivo; ma d’altra parte il pensiero della classe politica dirigente mi sembra talvolta veramente lontano dalle istanze urgenti e pressanti delle persone cui fanno riferimento e di cui dovrebbero essere il faro. Io sono convinta che sia una forma di resistenza – ancora una volta mi permetto di dire: paternalista – assolutamente inutile, e che non manchi molto al crollo di questi miseri argini. La società, e l’Italia, sono altro rispetto a quello che ancora da qualche parte si prova a raffigurare, ed è impossibile non notarlo.

I.P. Un filone comune dei racconti delle Future coglie quanto scriveva Fanon in Pelle nera,
maschere bianche: “liberare l’uomo nero da se stesso, dal circolo infernale di inferiorità in cui lo
sguardo bianco lo ha costretto”, per praticare da parte delle nuove generazioni un riscatto e una
autonomia contro un’identità loro attribuita da altri. Magari anche con una risata sulle paure
altrui. Ma le esperienze di un razzismo subito in Italia e spesso introiettato si intrecciano nei
racconti con la “nostalgia” dei luoghi e delle tradizioni dei paesi d’origine della propria famiglia,
come se solo altrove si potesse ritrovare un’identità perduta, oppure con forme di interesse, di
ricerca, ma anche di distacco da un passato che non sentono proprio. Insomma, ci sono vari
modi di rapportarsi alle tradizioni che emergono dai racconti. Qual’è il tuo pensiero? Sono
questi i temi centrali del libro, o altri?

S.C. Credo che il bello di Future sia proprio l’impressione che trasmette: il rapporto con la tradizione non è visto tanto in senso di nostalgia o separazione da una ‘dimensione originaria’, ma come necessario bagaglio esperienziale per essere cittadine italiane (e europee) del presente. Ammiro molto la forza e la caparbietà, e talvolta la rabbia, con cui le undici autrici hanno voluto rivendicare il proprio diritto a essere viste e a essere considerate come soggetti agenti e non solo oggetti di dibattito.

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