SPACCADEMIA. Pratiche femministe in università, DWF (126) 2020

Feminism e Stefania Vulterini in dialogo con Giada Bonu, parte delle Nine (curatrici del numero) e della redazione di DWF

In presentazione a Feminism mercoledì 7 aprile alle 19.

“ L’accademia è parte della storia di DWF. Segna la sua nascita e attraversa la storia di molte donne che hanno pensato e fatto vivere la rivista. Anche nella transizione da rivista pioniera di women studies a pratica politica, DWF ha sempre mantenuto una connessione con i saperi accademici, con le donne che hanno attraversato e attraversano le aule universitarie in varie vesti – studenti, dottorande, ricercatrici, attiviste, donne che si prendono cura degli spazi, ordinarie o assegniste. Tutti titoli che (lo sappiamo) riconducono a esistenze, origini, vissuti, territori e relazioni. Ciascuna di queste parole racconta di una collettività di donne che l’università ha tentato molte volte di cancellare, con conseguenze che si trascinano fino a oggi.”

S.V. L’editoriale presenta con chiarezza la storia e il percorso di DWF dal 1975 ad oggi e mi sembra dichiarare immediatamente l’intento del numero della rivista, da Accademia a Spaccademia.

Vuoi raccontarci , dall’interno, come è nato e come avete lavorato a questo numero della rivista?

G.B. Il numero della rivista nasce, come spesso capita, da un incontro, quello fra la redazione di DWF e le Nine, un gruppo di sette dottorande e ricercatrici della Scuola Normale Superiore (io, Angela Adami, Anastasia Barone, Rossella Ciccia, Francesca Feo, Irina Aguiari). In seguito a un convegno molto prezioso avvenuto il 21 febbraio 2020 nella nostra università, sentivamo il bisogno di continuare a ragionare intorno ai nodi emersi nella tavola rotonda su Università e pratiche femministe. In quell’occasione una serie di gruppi di colleghe/x e amiche/x di varie università in Italia e oltre avevano condiviso le proprie riflessioni collettive a partire da delle domande relative alla propria condizione in università. Di quel momento di condivisione, così intima ma anche così politica, volevamo non solo che rimanesse traccia, ma che fosse solo un primo passo di un percorso in divenire. Così ha preso le mosse il numero, riannodando i fili delle molte persone singole e dei gruppi che hanno accolto il nostro invito a continuare a “pensare insieme”.

S.V. In un altro punto dell’editoriale scrivete :“siamo anche noi, in quanto redazione, che desideriamo che l’università sia uno spazio aperto, libero, comune. Uno spazio – un topos – in cui il sapere circola, in uno scambio esplicito, non isolato dalle contingenze del mondo e dal rumore delle relazioni, che lascia ai piedi della torre d’avorio dall’alto della quale pensa e scrive, del mondo e sul mondo.
Non ci stupisce troppo, allora, che per questa ragione gli spazi che l’università ha, ancora oggi, da offrire a quei soggetti che non vogliono o non possono rispondere a questa concezione di studio siano angusti, scomodi, bui.”

Queste dichiarazioni mi fanno risuonare le parole di Rachele Borghi, Julie Coumau, Emilie Viney – Brigata SCRUM (Sorcières pour un Changement Radical de l’Université Merdique (Streghe per un cambiamento radicale dell’università merdosa)  nel testo Pratiche di hackeraggio dello spazio universitario.

Ci sono scambi e pratiche politiche comuni fra loro e voi?

G.B.Senza dubbio esistono molti punti di connessione, anche se non c’è stata finora occasione di contatti diretti (che auspichiamo ci sia in futuro). L’idea di Spaccademia era quella di uno spazio di pensiero e di agio nel quale poter nominare, e in questo modo trasformare le nostre esistenze, in maniera quanto più possibile comune, ovvero non solitaria. Proprio evitando la dimensione di solitudine, così diffusa in università, abbiamo orientato questo nostro pensare insieme, lasciando libere persone e gruppi di esplicitare i propri nomi o di scegliere strategicamente l’anonimato. In questo spazio frastagliato, mobile, pieno di dubbi più che di risposte e di intimità e incertezze più che di performance accademiche abbiamo ritrovato la possibilità di riconoscerci. E in questo modo di immaginare una quotidianità diversa ma anche la vicinanza con le altre/x compagne/x rispetto alle quali fino a un certo punto eravamo state/x quasi cieche. In questo senso risuonano in Spaccademia le parole della Brigata Scrum, perché crediamo possano risuonare nell’esperienza di tutte/x coloro che politicizzano la propria esperienza in università e lo fanno attraverso una scelta di complicità radicale.

S.V. Chiudiamo con la forza delle voci e delle pratiche politiche trasformative: “Proprio qui si colloca la forza degli scritti di questo numero. Le esperienze che riportiamo hanno ri-trovato corpo e hanno ri-preso voce nella condivisione delle esperienze. Quelli che, talvolta, suonano come lamenti, sono spazi corali che nominano sofferenze e voci che vogliono rovesciare lo stato della credibilità accademica come ce la fanno conoscere.
Voci che graffiano torri d’avorio, e sulle pagine di DWF diventano piazze. “

Che effetti pensi abbia già prodotto e possa produrre questo numero della rivista che, come nei vostri intenti, si fa pratica politica?

G.B. L’effetto che abbiamo sentito emergere più fortemente finora è stato quello di continuare a cospirare insieme. Cospirare nel senso di scegliere la dimensione del pensiero collettivo più che individuale. Questa, che è una rarità per l’università come la viviamo oggi, è stato uno slancio di liberazione che ci è stato restituito da tante persone che hanno collaborato al numero e che con l’occasione di questo percorso hanno sentito di poter continuare ad avere una “scusa” per incontrarsi, parlarsi, condividere. Lo stesso processo ha riguardato anche noi Nine, gruppo di dottorande e ricercatrici dello stesso dipartimento che tuttora vive di chiamate su zoom, aperitivi online, chiacchiere e condivisioni, ma da cui sono fiorite anche esperienze collaterali come la scrittura di paper accademici a più mani fra alcune di noi, che non avevamo fino a quel momento neanche immaginato. Siamo ancora convinte che questo sia uno spazio di possibilità e non un progetto organizzato di rivoluzione dell’università: veniamo da una storia di tentativi e fallimenti su questo terreno, e la strada del partire da sé, così antica e così contemporanea, ci sembrava ancora l’unica per immaginare futuri alternativi dove prima sentivamo solo la desolazione.

 

Articoli consigliati